Il reddito di cittadinanza viene presentato nel
DL 28 gennaio 2019, n. 4 come una “
misura fondamentale di politica attiva del lavoro a garanzia del diritto al lavoro, di contrasto alla poverta', alla disuguaglianza e all'esclusione sociale (...) mediante politiche finalizzate al sostegno economico e all'inserimento dei soggetti a rischio di emarginazione nella societa' (…) -ritenendo- la straordinaria necessita' e urgenza di prevedere la semplificazione del sistema di assistenza sociale al fine di renderlo certo ed essenziale con l'obiettivo di una ridefinizione del modello di benessere collettivo”
Quindi sarà questo lo strumento che d'ora in avanti verrà usato per il contrasto alla povertà, disuguaglianza ed esclusione sociale?
Dalle premesse sembra proprio di si, ed infatti poco più oltre si specifica chiaramente che il Reddito di Cittadinanza è “Il livello essenziale delle prestazioni nei limiti delle risorse disponibili.”
Attenzione che questo è un punto fondamentale, perché se, finalmente, vengono definiti i LIVELLI ESSENZIALI DELLE PRESTAZIONI di contrasto alla povertà, alla disuguaglianza ed all'esclusione sociale, subito dopo si specifica chiaramente che tali prestazioni sono GARANTITE “nei limiti delle risorse disponibili”.
Quindi:
1. Sei considerato “povero” a rischio di “emarginazione” ed “esclusione sociale” solo SE rientri nei requisiti del Reddito di Cittadinanza
2. questa è l'UNICA misura di contrasto alla povertà, alla disuguaglianza ed all'esclusione sociale che lo Stato Italiano garantirà, d'ora in avanti, disponendo di limitate risorse di bilancio.
La “povertà” viene definita in questo Decreto come la conseguenza di un mancato accesso al lavoro.
Questo assunto non è corretto.
E' vero che il lavoro è:
- un potentissimo veicolo di inclusione sociale,
- rappresenta le condizioni minime per una uguaglianza spontanea e non imposta, ed è potenzialmente un efficace strumento di contrasto all'impoverimento e, soprattutto, alla cronicizzazione della povertà nella popolazione.
Ma la “mancanza di lavoro” non è sicuramente l'unico fattore essenziale che definisce una condizione di estrema fragilità sociale, economica e lavorativa.
La disabilità rappresenta un elemento importantissimo che non è possibile trascurare quando si parlano di Livelli Essenziali!
In questo Decreto la disabilità non solo è stata trascurata ma in alcuni articoli appare addirittura un elemento discriminante all'accesso ai Livelli Essenziali delle Prestazioni Sociali.
Perché è impossibile non notare che questo Decreto non rispetta una clamorosa e recentissima Sentenza del Consiglio di Stato – mi riferisco alla
Sentenza 842-16 sull'ISEE - che ha chiarito, nel più piccolo dettaglio, che considerare tutti i supporti erogati dallo Stato per far fronte ad una condizione di disabilità non può in alcun modo essere incluso nella valutazione del reddito, sia personale che famigliare, in quanto tali supporti rappresentano ciò che la
Costituzione Italiana definisce come “
pari dignità sociale ed uguaglianza davanti alla legge.”
Quindi come mai tale assunto, così chiaramente ribadito da esser perfino citato in entrambi i programmi elettorali dei partiti che compongono l'attuale Governo ed essere addirittura trascritto nel Patto di Governo, non è stato rispettato?
Non si può, davanti ad una evidenza così eclatante, non ipotizzare una intenzionale volontà di limitare l'accesso delle persone con disabilità e dei loro famigliari ai Livelli Essenziali delle Prestazioni Sociali.
I nuclei familiari che hanno uno o più componenti con disabilità d'ora in avanti - e non a caso - verranno definite FAMIGLIE NON AUTOSUFFICIENTI, perché è proprio in questo decreto che viene sancita la “famiglia” come UNICA misura non solo per la valutazione delle condizioni di accesso ai Livelli Essenziali ma soprattutto come UNICO criterio di individuazione del beneficiario che non è più il singolo ma l'intero nucleo famigliare.
L'individuazione del beneficiario “famiglia” è sicuramente molto più corretta per definire i Livelli Essenziali, ma proprio per questo non si può fingere di non accorgersi come, in una misura che ha lo scopo di contrastare le condizioni di fragilità economica e sociale, proprio quelle stesse condizioni di fragilità vengano di fatto ignorate!
Ed invece è esattamente questo che avviene in questo Decreto.
Perché un nucleo familiare che vive la disabilità e la malattia di uno o più di suoi componenti E' un nucleo fragile a prescindere dalle condizioni reddituali.
Ed in questi Livelli Essenziali addirittura i supporti erogati per far fronte alla disabilità vengono considerati incrementi reddituali!
Infatti nell' Art. 2 comma 6 Si specifica chiaramente che, per rientrare nei Livelli Essenziali di contrasto alla povertà, all'esclusione sociale ed alla disuguaglianza, oltre l'Isee saranno presi in considerazione tutti i "trattamenti assistenziali in corso di godimento da parte dei componenti il nucleo familiare, fatta eccezione per le prestazioni non sottoposte alla prova dei mezzi".
Non stiamo solo parlando della pensione di Invalidità Civile ma, per esempio, anche dell'Assegno di Cura e dei Caregiver erogato a quei nuclei familiari che hanno al loro interno uno o più persone con disabilità molto gravi o gravissime. Una doppia penalizzazione che non ha alcuna ragione d'esistere soprattutto se si sta parlando dei Livelli Essenziali....è come se venissero penalizzate nei LEA per l'accesso alla misure Sanitarie i malati cronici con le patologie più gravi.
Come si può discriminare al punto di considerare lo svantaggio addirittura come un vantaggio?
Ed infatti nello stesso Patto di Governo si affermava convintamente che “i trattamenti assistenziali, previdenziali ed indennitarim incluse carte di debito, a qualunque titolo percepiti da amministrazioni pubbliche, qualora attinenti a condizione di disabilità, sono esclusi “tassativamente” dal calcolo dell'Isee o di altri indicatori reddituali necessari per accedere ad agevolazioni e benefici.”
Quindi non può essere casuale questa deliberata valutazione dei supporti erogati in base alla disabilità come se fossero uno..."stipendio" disponibile nella ricchezza familiare.
Ma non è, purtroppo, l'unico elemento di esclusione delle Famiglie Non Autosufficienti" dal Decreto che instaura i Livelli Essenziali delle Prestazioni Sociali (LivEAS
L.328/200 ).
Per esempio non esistono "scale di equivalenza" che segnalano in qualche modo la presenza di persone con disabilità nel nucleo familiare.
Cosa sono le "scale di equivalenza"?
Sono degli strumenti di calcolo statistico che vengono usati proprio per segnalare una condizione di particolare fragilità reddituale.
Come la presenza di minori, che, appunto, impegnano il nucleo familiare nell'assistenza e non portano reddito, esattamente come avviene spesso in presenza della non autosufficienza di un componente del nucleo....
In questo Decreto i minori sono segnalati mentre le persone con disabilità no.
Quindi la mancata produzione di reddito da pare di una persona non autosufficiente è "statisticamente" rilevata quasi come....una non volontà di produrre reddito.
Ed infatti ecco una nuova indicazione penalizzate non solo per le persone con disabilità che hanno "poca voglia di lavorare" ma per tutta l'intera famiglia e, soprattutto, per i caregiver familiari.
Infatti l'art.2 comma 3 chiarisce che non hanno diritto al reddito di cittadinanza chi è in stato di disoccupazione per dimissioni volontarie.
Escludere dal reinserimento lavorativo chi si è licenziato volontariamente ha, per una FAMIGLIA NON AUTOSUFFICIENTE un solo significato: escluderla dall'accesso ai Livelli Essenziali delle Prestazioni Sociali.
Questa è, di norma, la condizione delle donne famigliari caregiver - che impegnate nell'assistenza perché costrette dalla scarsa offerta di servizi assistenziali, ad abbandonare il lavoro attivandosi nella sostituzione dello Stato per garantire sopravvivenza e vita dignitosa al proprio congiunto con disabilità - ma è anche la condizione che troppo spesso ricorre anche per gli altri membri della famiglia e per la stessa persona con disabilità che oltre a subire frequentemente il mobbing all'interno del proprio ambiente di lavoro, hanno accesso esclusivamente a quelle tipologie di lavoro denominate “lavoro povero” ovvero con un con un salario talmente modesto da non permettere di superare la soglia di povertà.
Motivo per cui “il gioco non vale la candela” perché una FAMIGLIA NON AUTOSUFFICIENTE deve mettere in conto l'esborso per il trasporto, a causa dell'inaccessibilità dei mezzi pubblici, l'esborso per la sostituzione assistenziale non solo durante le ore lavorative ma anche per il tempo impiegato per andare e tornare dal lavoro, e ciò che viene perso in termini reddituali in seguito alle prolungate assenze dal lavoro che purtroppo coesistono con la condizione di disabilità.
Sono talmente note le condizioni di perdita ed abbandono del lavoro da parte delle famiglie caregiver che persino il Comitato ONU sui Diritti delle Persone con Disabilità e la stessa Unione Europea hanno dato chiare indicazioni in tal senso. Senza contare le sentenze a Strasburgo che ne hanno sancito la violazione dei diritti umani.
Ma in Italia le famiglie che sono impegnate H24 nell'assistenza dei propri congiunti sono identificate alla stessa maniera dei "fannulloni" o, peggio, di chi vive di lavoro nero, una condizione che non è di certo concessa ad un familiare caregiver!
Nell' art.3 comma 15 si prevede una decurtazione del beneficio se non consumato interamente ogni mese: e se il mancato consumo derivasse da un ricovero in ospedale o in un centro di riabilitazione intensiva?
Durante il ricovero, dove spesso la Famiglia Caregiver accompagna la persona con disabilità - specie se si tratta di un bambino o di una persona con disabilità cognitiva -, diminuiscono naturalmente alcune spese.
Da quelle di elettricità (si pensi al consumo degli apparecchi elettromedicali, o le spese di riscaldamento e refrigerio indispensabili a persone affette da gravi patologie) o le spese alimentari (in particolare in presenza di persone che sono costrette ad accedere esclusivamente a determinati tipi di alimenti) o di trasporto... senza nominare, perché dovrebbero essere ovvie ma a quanto pare non lo sono, le spese farmaceutiche e di assistenza.
Il diminuito consumo del mese di ricovero, inoltre, non è infrequente che coincida con l'aggravamento delle condizioni della persona con disabilità, ed è impossibile ignorare che questa condizione finisce per ripercuotersi proprio al rientro a casa dove spesso è necessario un maggiore esborso economico per far fronte a urgenti spese assistenziali o acquisti di presidi e/o adattamento delle abitazioni.
E quindi, non sembra quasi una "punizione" questa decurtazione che avviene nelle Famiglie Non Autosufficienti proprio nel momento in cui avrebbero, invece, necessità di un maggior sostegno?
Ma arriviamo al punto più vessante per le Famiglie Non Autosufficienti: il lavoro congruo.
E' vero che, apparentemente, il legislatore sembra aver avuto un atto di clemenza proprio verso queste famiglie.....ma il diavolo si nasconde nei dettagli.
Sull'offerta di lavoro “congrua” viene prevista la possibilità per il caregiver familiare di declinare, senza perdere il beneficio economico, le proposte lavorative che il suo ruolo assistenziale non gli permetterebbe di affrontare ma, attenzione, in questo Decreto si parla di nucleo famigliare: anche se è consueto che le famiglie di persone non autosufficienti sono spesso composte da due persone (la persona con disabilità ed il suo caregiver familiare) capita - anche più frequentemente di ciò che ritiene il legislatore - che nella famiglia siano presenti dei fratelli, dei coniugi e dei figli.
Gli stessi caregiver familiari – magari in possesso anche di competenze elevate che mal collimano con un ruolo assistenziale h24 alla quale si sono trovati loro malgrado costretti proprio dalla negligenza istituzionale nell'assistenza verso il proprio congiunto – avrebbero diritto, pur mantenendo il loro ruolo di cura, esattamente come tutti gli altri cittadini italiani, al accedere ad un lavoro, come ne hanno diritto tutti i componenti di una FAMIGLIA NON AUTOSUFFICIENTE, anche per tirarsi fuori da una condizione di grave indigenza che non può risolversi esclusivamente con una “beneficenza Statale”, tanto più se – è lo si sottolinea chiaramente proprio perché si è ben consci come questo “particolare” influisca gravemente sulle condizioni di dignità sociale di queste famiglie – è vincolata alla DISPONIBILITA' DI BILANCIO.
Ma c'è di più: è importante rilevare un aspetto saliente della “congruità” dell'offerta di lavoro: infatti viene ritenuta congrua una offerta di lavoro che permette un guadagno delineato in base all'ultima retribuzione percepita.
Com'è possibile ignorare il fatto che si sta parlando di una platea di persone che, proprio per la condizione di fragilità sociale dovuta al fatto che in famiglia c'è un membro disabile, e stata costretta ad un “Lavoro povero” ovvero quel lavoro che, frammentario, a part time e bassa retribuzione produce dei redditi talmente insufficienti da finire per risultare inutili in un contesto come quello di una famiglia non autosufficiente?
Quindi l'offerta congrua potrebbe prevedere sia una discreta lontananza ed uno stipendio talmente basso che l'intero nucleo familiare ci rimetterebbe?
Che offerta congrua è?
Il salario deve rappresentare realmente un miglioramento della condizione economica delle famiglie che altrimenti non solo non usciranno MAI dalla condizione di povertà ma cronicizzeranno la loro condizione.
Queste osservazioni sono state presentate come
emendamenti al Senato.