Ancora una volta la disabilità è
trattata dal Governo come una condizione di “colpa sociale”, alla
stregua di un reato commesso dall'intero nucleo famigliare e che,
quindi, deve essere espiato da tutta la famiglia.
Questa è la cruda lettura di ciò che
sta accadendo, con la misura creata dal Governo per combattere proprio
le condizioni di disagio emarginante e povertà, meglio conosciuta
con “Reddito di Cittadinanza”, titolo quanto mai evocativo se si
considera il fatto che si finisce per ratificare che la persona con
disabilità ed il suo nucleo familiare saranno definitivamente
considerati dei “cittadini” con diritti attenuati.
L' ENIL, associazione internazionale
che in Italia ha lo scopo di portare avanti il Diritto alla Vita
Indipendente e Pari Opportunità delle persone con disabilità,
ha presentato un'ulteriore memoria alla Camera, sottolineando la
necessità che vengano urgentemente modificati quei passaggi
gravemente discriminatori del Decreto.
Il primo riguarda proprio quello di
considerare le somme erogate per attenuare le condizioni di
svantaggio create dalla disabilità, come....un "vantaggio economico".
Sembra assurdo che occorra ribadire
come sia del tutto illogico considerare l'aiuto prestato come un
vantaggio.
E' un po' come se qualcuno, dopo aver
aiutato una persona a rialzarsi da una brutta caduta, considerasse
quella stessa persona, ancora malconcia e dolorante, come il puntello
sulla quale far leva.
Eppure è proprio questo che avviene
quando nel Decreto si decide di considerare alla stregua di una
“retribuzione” i minimali supporti erogati per l'assistenza alla
disabilità.
Si badi bene: questo è riservato solo per la disabilità, infatti nel Decreto sono considerati diversamente –
e quindi non inclusi nella ricchezza familiare - i supporti
destinati ai minori di 3 anni e quelli per chi rimane disoccupato.
Quelle non sono “colpe sociali”
come la condizione di disabilità!
Per il resto questa è la memoria
presentata dall'ENIL al Senato:
Alla cortese attenzione
delle
Commissioni riunite XI
Lavoro e XII Affari sociali della Camera dei Deputati
Oggetto: proposta di
emendamenti al disegno di legge C. 1637 Governo, approvato dal Senato, recante
"Conversione in legge, con modificazioni, del decreto-legge 28
gennaio 2019, n. 4, disposizioni
urgenti in materia di reddito di cittadinanza e di pensioni”.
Preg.mi Onorevoli,
dagli interventi al
Senato dei diversi esponenti della compagine Governativa emerge con
preoccupante evidenza di come la tutela lavorativa è concepita
lecita soprattutto per i cittadini in condizione di “produttività”,
mentre deve essere trattato A PARTE chi non è:” propriamente
produttivo” e/o lo potrebbe diventare, in parte minimale, a fronte
di costi troppo elevati che l'attuale contingenza economica non può
permettersi.
Il compito dello Stato,
espresso chiaramente nella discussione in Senato è, quindi, quello
di
“agevolare” la
famiglia nella preziosissima opera di ammortizzare quella “stonatura
redditiva” creata dalla “divers...abilità”.
Prendiamo atto della
precisa volontà politica di limitare l'accesso al Reddito di
Cittadinanza ai nuclei familiari che hanno, fra i loro componenti,
anche delle Persone con disabilità.
La Persona con disabilità
in Italia è ormai definitivamente da considerare come un “affare
di famiglia”, il cui compito prioritario è quello di
prendersene cura, vicariando lo Stato, attraverso la “custodia nel
proprio focolare”.
Persone (…) troppo
scomode che impattano sfavorevolmente nella collettività già
impegnata con molta difficoltà nel produrre ricchezza per il Paese.
Che restino quindi
comodamente riposte tra gli affetti di casa, per chi ce l’ha, con i
propri congiunti, se presenti, inderogabilmente designati al “lavoro
di cura”.
La loro presenza è
accettata nei giardini pubblici o nelle comunità “border line”,
nelle scuole pubbliche di frontiera o assemblate nei centri
residenziali diurni, meglio ancora se a tempo pieno. Lontani però
dai luoghi destinati alla produttività economica e con buona pace
dei buoni principi di
inclusione tanto
decantati nei comizi e talk show elettorali.
Corre l'obbligo ancora
una volta di rammentare al Governo come sia definita nella
Convenzione ONU sui Diritti delle Persone con Disabilità, una LEGGE
dello Stato, il concetto della discriminazione di una intera
categoria di cittadini.
La Costituzione Italiana
inoltre chiarisce in più di un suo articolo, e prescrive, nell'
Art.3 senza possibilità di fantasiose interpretazioni alternative,
che il DOVERE dello Stato non è quello di “agevolare” una
disparità tra cittadini di diverse condizioni, ufficializzando
come sostituti di quegli stessi doveri i loro nuclei famigliari,
ma di operare per “rimuovere”, quindi eliminare: ”gli
ostacoli di ordine economico e sociale, che, limitando di fatto la
libertà e l'eguaglianza dei cittadini, impediscono il pieno sviluppo
della persona umana e l'effettiva partecipazione di TUTTI i
lavoratori all'organizzazione politica, economica e sociale del
Paese.”
Nell'art.2 il concetto è
ancora più esplicito quando “richiede allo Stato l'adempimento dei
doveri inderogabili (INDEROGABILI!) di solidarietà politica,
economica e sociale.”
Ancor di più: si
considera “discriminazione diretta”, ex Lege 85/2008, “ogni
procedimento condizionato da situazioni per le quali la persona viene
messa o potrebbe venir messa in una posizione meno favorevole
rispetto ad un’altra, in una situazione paragonabile.”
Ed è proprio questo che
avviene indiscutibilmente quando in un disegno di legge si prevede
esplicitamente, per l’accesso al beneficio del Reddito di
Cittadinanza, di “concorrere cumulativamente a diversi requisiti”
che considerano una ricchezza del nucleo familiare quei supporti
economici, peraltro notoriamente insufficienti e RESIDUALI, erogati
per attenuare lo svantaggio della disabilità.
Quindi, a parità di
condizioni reddituali, una famiglia - che ha il torto grave di avere
tra i suoi membri una o più persone con disabilità – avrà
accesso ad un sostegno inferiore rispetto ad una famiglia che NON ha
disabili tra i suoi componenti, subendo di fatto una indiscutibile
discriminazione diretta.
Ancor di più sarà
evidente la discriminazione per quelle stesse famiglie che, per
effetto della presenza di un maggior numero di persone con disabilità
e necessità assistenziali a causa di condizione di gravità,
percepiscono erogazioni monetarie e sociali maggiori.
E ciò varrà anche per
le singole persone con gravi disabilità che con enormi difficoltà
tentano di vivere in modo indipendente nella collettività per mezzo
di risicati e discontinui finanziamenti dedicati per la loro
assistenza personale, considerati nella parte non rendicontabile come
un reddito!
La Convenzione Onu fin
nel preambolo sancisce, invece, la necessità di “promuovere e
proteggere i diritti umani di tutte le persone con disabilità,
incluse quelle che richiedono sostegni più intensi (...)
riconoscendone l’urgente necessità di affrontare l’impatto
negativo della povertà e la parità di opportunità”.
Nella discussione al
Senato si è affermato che la Sentenza del Tar 2549/2015 e quella
definitiva del Consiglio di Stato 842/2016 riguarda solo l'ISEE.
Questa è una
interpretazione profondamente errata.
Il Consiglio di Stato ha
infatti ben chiarito che considerare tra i requisiti di accesso ad un
qualsiasi beneficio “i trattamenti…percepiti dai disabili
considerando la disabilità alla stregua di una fonte di reddito
-come se fosse un lavoro o un patrimonio- ed i erogati dalle
pubbliche amministrazioni, non un sostegno al disabile, ma una
"remunerazione" del suo stato di invalidità… (non
solo) è oltremodo irragionevole … (ma)
… in contrasto con l'art. 3 della Costituzione…».
Pare assurdo dover SEMPRE
ricordare, in una Nazione Democratica come la nostra, che ciò che
viene erogato per supportare lo svantaggio della disabilità NON può
in alcun modo trasformarsi in un vantaggio!!
Questo concetto, così
ben chiarito nella Sentenza del Consiglio di Stato, presuppone non
solo quanto sia in contrasto con tutto il nostro ordinamento trattare
lo svantaggio - la mancanza di pari dignità e disuguaglianza dovuta
a “condizioni personali e sociali” causati dalla disabilità -
come un vantaggio reddituale, ma chiarisce altresì come occorra
prevenire proprio quell'impoverimento reddituale attraverso una o più
scale di equivalenza.
Vorremmo infatti anche
rammentare che esiste già un presupposto di iniquità della
stessa scala d'equivalenza fissa, utilizzata nell'attuale computo
ISEE per segnalare la condizione di disabilità, che fu introdotta
con un emendamento, posto a fiducia, dal precedente Governo Renzi,
nel DL 42/2016 - Disposizioni urgenti in materia di funzionalità del
sistema scolastico e della ricerca” e senza alcuna adeguata
discussione parlamentare.
Tale scala d'equivalenza
fissa fu arbitrariamente posta in sostituzione (quindi NON
in ottemperanza alla
Sentenza del Consiglio di Stato) delle più adeguate e
proporzionate franchigie parametrate alle differenti condizioni di
maggiore o minore necessità assistenziali legate alla disabilità –
che non è uguale per tutti –.
Quella scala
d'equivalenza così rigidamente concepita, ha finito di fatto per
favorire proprio quei nuclei familiari con i redditi più alti e non
già le famiglie maggiormente gravate da un intenso disagio economico
prodotto da più elevate necessità assistenziali.
In conclusione si
sottolinea, quindi, ciò che dovrebbe essere il dovere di uno Stato
Civile, ovvero la prioritaria finalità di produrre uguaglianza e
pari opportunità per TUTTI i cittadini e non invece di ratificare la
profonda disuguaglianza creata da un costante abbandono istituzionale
e sulla illusione di un cambiamento favorevole che, nella pratica, si
trasforma in emarginazione ulteriore.
Reiteriamo perciò la
richiesta di modifica del comma 7 dell'articolo 2, escludendo
dall'accesso al beneficio il computo di ogni supporto erogato per la
disabilità e chiediamo altresì di introdurre, nel comma 4 Art. 2,
la scala d'equivalenza che segnali la presenza nel nucleo familiare
di un globale impegno economico nel “mantenere” la disabilità di
un congiunto, graduandola in base al maggiore impegno tra disabilità
lieve, media e non autosufficienza (0,4 per la disabilità lieve, 0,5
per la disabilità media e 0,7 per la non autosufficienza).
Il diritto di pari
opportunità dell'individuo rappresenta lo scopo, la sintesi, di ogni
trattato che ne sancisce i Diritti Umani. Ed è in questo principio
che, una politica che si propone come cambiamento verso una maggiore
giustizia sociale dove “nessuno deve più rimanere indietro”,
dovrebbe veicolare le proprie energie nel garantire a tutti i
cittadini il diritto all'autodeterminazione e all'indipendenza.
Il Diritto di scegliere
come vivere la propria vita, dunque, come cittadino libero in un
libero Stato.
Per ENIL Italia, il
Presidente: Germano Tosi