lunedì 15 febbraio 2016

LA LEGGENDA DELLE "STRUTTURE PROTETTE"


In Italia c'è ancora tanta gente convinta che alcune forme di disabilità debbano essere trattate in appositi ambienti altamente strutturati e con personale professionalmente preparato.
Questo convincimento parte da due concetti, molto antiquati: il primo “ufficiale” ed il secondo "ufficioso".
Il concetto ufficiale riguarda il convincimento che chi è affetto da una disabilità grave sia in forte disagio tra persone “normali” e quindi è un bene che possa vivere in un  ambiente educativo e tra persone a lui simili.
Andiamo ad analizzare questo assunto:
alcune forme di disabilità intellettiva hanno, in effetti, differenti modalità di relazione con le persone e con le cose. 
Modalità spesso bizzarre e che appaiono, anche ad uno sguardo molto smaliziato, sicuramente strane. 
Frequentemente, soprattutto in contesti dove non si attivano precocemente dei percorsi educativi individualizzati (e sottolineo individualizzati, ovvero conformati perfettamente alla persona con disabilità), queste stranezze si stabilizzano  fino a diventare stereotipate ed apparentemente ingestibili.
Quindi per meglio “gestire” queste stranezze si raggruppano persone “strane” insieme ad altre persone “strane”inserendole in ambienti chiusi e con regole particolarmente rigide per “rieducarli”.
Rieducarli a cosa? 
Al poter tornare a vivere in mezzo alla gente “normale”? 
Sappiamo molto bene tutti che questo non avverrà mai, queste persone “strane” non torneranno mai più tra le persone “normali”. Nessuna di queste persone istituzionalizzate ha avuto un progetto a breve termine che culmina con il ritorno a casa.
Tanto più lo si prevede nella futura legge sul "Dopo di Noi" in discussione in Senato. 
Quindi la “rieducazione/riabilitazione” di questi luoghi è una menzogna.
Qualcuno obietterà che tra i propri simili queste persone hanno meno disagio.
Ma sul serio c'è gente che crede che una grave forma di disabilità possa essere simile ad un'altra grave forma di disabilità? 
Nemmeno i gemelli monozigoti quando prendono la stessa malattia stanno male alla stessa maniera, e questo perché scientificamente non esiste una persona uguale all'altra.
Quindi quando parliamo di “similitudine” facciamo lo stesso ragionamento di chi pensa che gli orientali si somigliano tutti perché hanno tutti gli occhi a mandorla.
Ci fermiamo, cioè, a qualche caratteristica molto apparente e la generalizziamo a tutto l'oriente. 
Però basta vivere per qualche mese in oriente per scoprire che ogni orientale è diverso, che con alcuni si può arrivare ad avere un feeling che nemmeno con il proprio fratello o migliore amico....con altri meno, altri proprio non li si sopporta! 
Insomma che in realtà in fin dei conti gli orientali sono uomini, donne e bambini come noi. 
UGUALI a noi.
E siamo arrivati al motivo “ufficioso” per cui preferiamo chiudere persone con certe disabilità in “strutture protette”.
Perché viverci insieme comporta un adattamento di tutti che non si ha voglia di compiere
E, quindi, siamo noi che ci proteggiamo dalla loro strana presenza che mette in discussione fino ad arrivare a rivoluzionarla quell'esistenza e quella quotidianità alla quale siamo abituati.
Ciò che in psicologia viene indicata come "comfort zone" e che, ironia della sorte, blocca l'evoluzione di chiunque, anche dei "normali".




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